Melanargia arge (Sulzer, 1776) è una rara farfalla endemica dell'Italia peninsulare, diffusa esclusivamente dalla Toscana alla Sicilia nord orientale (con popolazioni sparse soprattutto lungo il versante tirrenico e in Puglia).La specie predilige ambienti aridi e asciutti esposti al sole, con terreno inclinato, in presenza di grosse graminacee (Ampelodesmos, Stipa, Bromus), cespugli sparsi e rocce affioranti. La maggior parte dei siti in cui si rinviene si trovano in fondovalli riparate dal vento o in aree collinari. Si incontra dal livello del mare fino ai 1000 m (ma occasionalmente può arrivare ai 1500 m). Questa farfalla ha un'unica generazione all'anno, gli adulti sfarfallano da metà maggio a metà giugno; in questo arco di tempo depongono le uova attaccandole singolarmente agli steli delle graminacee di cui si nutrono le larve (soprattutto Brachypodium ramosum e Phleum ambiguum). Queste, dopo una lunga quiescenza estiva, cominciano ad alimentarsi solo in autunno, passano l'inverno e completano lo sviluppo fino alla trasformazione in pupa che avviene verso la metà di aprile . La specie non presenta un vero dimorfismo sessuale ma generalmente le femmine hanno dimensioni maggiori.
Melanargia arge è inserita nel Libro Rosso delle farfalle italiane in qualità di "specie minacciata e in progressiva grave diminuzione per cause naturali o per fattori di origine antropica". E' specie protetta dalla direttiva Habitat (Allegati II e IV) ed è inoltre compresa nell'Appendice 2 della Convenzione di Berna. La specie è minacciata dalla scomparsa e dal degrado degli ambienti in cui vive. Negli ultimi decenni si è estinta da molte delle località occupate in passato in seguito all'alterazione e degrado dei biotopi a cui essa è legata. In particolare gli incendi favoriti dai pastori per stimolare la ricrescita dell'erba ed il pascolo eccessivo possono avere serie ripercussioni sulle popolazioni.
Quando incominciai ad interessarmi ai lepidotteri del Matese, della diffusione di Melanargia arge (Sulzer, 1776) non si sapeva quasi nulla. In letteratura era infatti disponibile una sola segnalazione per il monte Maio (Volpe & Palmieri, 2001). Successivamente fu individuata una seconda popolazione nei pressi di Cusano Mutri (E. Leggiero, 2015) e, qualche anno più tardi, una terza che individuai poco distante da Prata Sannita. Infine, nel 2020 un'ulteriore popolazione fu individuata, in maniera del tutto fortuita, sul territorio del comune di Faicchio grazie a due amici (Daniele Prece e Gianpiero Mastrocinque) che casualmente fotografarono alcuni individui durante un'escursione e successivamente mi mostrarono quelle foto. Attualmente sono quindi solo quattro le località del Matese note per questa specie.
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