Particolare dei fiori di Utricularia australis.
Quando si parla di piante carnivore la nostra mente ci porta d’istinto a pensare ad isole misteriose o al folto di inaccessibili foreste tropicali. In realtà la flora italiana annovera un buon numero di specie di questi particolarissimi vegetali che, in milioni di anni di evoluzione, hanno escogitato sistemi ingegnosi e spesso molto sofisticati per catturare piccole prede, riuscendo così ad integrare la loro “dieta” con una fonte alternativa di nutrimento in ambienti che spesso ne sono poveri.
Le carnivore italiane, a differenza di molte delle loro “sorelle” esotiche, sono quasi sempre umili piantine poco appariscenti, che difficilmente si fanno notare da occhi poco attenti, specie al di fuori del periodo di fioritura. La loro presenza è quasi sempre legata alla vicinanza dell’acqua e ai luoghi umidi. Alcune, come nel caso di molte Utricularia, sono delle vere e proprie piante acquatiche. In Campania, il lago Matese rappresenta una delle ultime roccaforti di una specie che nel nostro paese sta diventando sempre più rara: Utricularia australis. Questa specie risulta segnalata anche in altre località campane, come nel cratere degli Astroni nei pressi di Pozzuoli e nell’oasi WWF del lago di Campolattaro nel beneventano, tuttavia la sua presenza in questi luoghi andrebbe riconfermata.Il nome Utricularia deriva dalle particolarissime trappole, dette otricoli (dal latino utriculum: piccolo otre, fiasco) che queste piante utilizzano per catturare le loro prede. Gli otricoli, grandi pochi millimetri, sono muniti di valvole che terminano in minuscole ciglia sensibili. Quando una preda (copepodi, ostracodi ed altri minuscoli organismi acquatici) sfiora le ciglia, le valvole si aprono a scatto e la differenza di pressione risucchia la preda stessa all’interno dell’otricolo, dove, grazie ad enzimi proteolitici, questa viene lentamente digerita. In questo modo la pianta riesce a procurarsi una fonte alternativa di azoto.
Sopra a sinistra particolare degli otricoli, a destra Utricularia australis in habitat.
Il periodo migliore per osservare Utricularia australis sul Matese è il mese di agosto, quando i suoi vistosi fiori gialli si ergono dalla superficie del lago. Per tutto il resto dell’anno la pianta rimane costantemente sommersa, rendendo piuttosto difficile la sua individuazione ai meno esperti. Con l’approssimarsi della stagione invernale, le piante deperiscono e producono un particolare tipo di gemme dette turioni che cadono sul fondo del lago; qui, al riparo dal gelo, aspettano la fine dell’inverno, pronte a dar vita a nuove piante quando in primavera i ghiacci si saranno sciolti. Riuscire ad osservare queste piante in natura è un evento a cui va data la giusta considerazione: a causa della rarefazione delle zone umide la loro presenza è in forte regresso su tutto il territorio nazionale e in molte regioni è limitata a poche “isole felici”. Rispettare queste piante è quindi di fondamentale importanza per consentire anche alle generazioni future di continuare a godere di queste meraviglie della natura.
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